Il primo campanello d’allarme ufficiale è suonato una decina di anni fa, nel 2006. E’ accaduto in Giappone, il paese del sol levante che più di ogni altra nazione sul pianeta, segue le problematiche sociali della propria popolazioni con grande cura e attenzione e interviene sempre preventivamente. L’hikikomori è un ragazzo/a che a un certo punto della sua esistenza decide di isolarsi dal mondo e dalla realtà che lo circonda, si chiude in camera e lì passa le sue giornate.
La camera diventa il luogo fisico, dove egli conduce la sua vita, luogo che a poco a poco si ammassa di oggetti, di resti di cibo, di sporcizia, di polvere, quasi come se gli oggetti diventassero essi stessi hikikomori e non potessero più uscire da quel luogo, così come chi li possiede. Oggetti che, in qualche modo, lo riportano in quella realtà che egli vive e osserva solo attraverso un computer.
Dal 2009, in seguito all’uso massiccio di facebook e al dominio della comunicazione virtuale via web al posto di quella umana carnale nella vita reale, il fenomeno ha iniziato ad assumere chiari segnali di patologia sociale. In Giappone, il hikikomori, è aumentato dal 2009 al 2014 del 356 %. E’ aumentato anche in Europa. Purtroppo, siamo in uno spaventoso ritardo culturale, sociale, imprenditoriale. Questo tipo di studi dovrebbe far parte al primo posto nella annuale legge di stabilità sotto la voce “ricerca e innovazione” come misura preventiva.
Come si presenta?
Controllare il profilo Facebook in piena notte, rinunciare a un aperitivo per restare a chattare. Anche Internet, come l’alcol o la droga, può creare dipendenza. Le uscite fuori casa diminuiscono fino a sparire, le ore davanti a uno schermo aumentano. In Giappone, dove ne hanno contati più di un milione, gli adolescenti ritirati sociali che sostituiscono i rapporti diretti con quelli mediati da Internet si chiamano “hikikomori”. Da noi dati certi non ne esistono. Le ultime rilevazioni parlano di 240 mila under 16, ma gli esperti dicono che anche in Italia gli auto-reclusi dipendenti dalla Rete sono in continuo aumento.
Cosa si può fare?
Uscire dall’isolamento è difficile, curare dei soggetti in hikikomori è un’ardua impresa, perché rifiutano di lasciare il loro habitat e nessuno riesce a raggiungerli. Inoltre, aspetto da non trascurare è la non volontà di tornare a un’esistenza normale, perché la loro è una scelta, è un’auto esclusione dalla vita. L’hikkikomori smette di avere bisogni pratici, non si cura di sé, del suo aspetto fisico, il suo unico bisogno è quello di espandersi mentalmente attraverso la rete, attraverso la scrittura, la pittura, la creatività.
Il percorso terapeutico, che può durare da pochi mesi a diversi anni, consiste nel trattare la condizione come un disturbo oppure come problema di socializzazione, stabilendo un contatto con i soggetti colpiti e cercando di migliorarne la capacità di interagire. Il fenomeno, già presente in Giappone dalla seconda metà degli anni 80, ha incominciato a diffondersi negli anni 2000 anche negli Stati Uniti e in Europa.
Le dipendenze da Internet non devono essere trattate con un approccio di disintossicazione, sottraendo smartphone, router e pc. Si parte spesso dai genitori, per arrivare ai figli anche dopo molti mesi. E il primo contatto, anche con lo psicologo, molto spesso avviene in chat.
Secondo alcuni studiosi il fenomeno in Italia ha preso una piega diversa e presenta dei lati meno feroci, ad esempio l’isolamento non è quasi mai totale: gli hikikomori italiani, a differenza dei giapponesi, accettano di consumare i pasti coi genitori, e di vedere, di tanto in tanto, un amico con cui passare delle ore. Questo è dovuto anche a una differente organizzazione della società e della famiglia rispetto al Giappone, dove il fenomeno è visto dalla società come un’onta e qualcosa da nascondere, per cui le famiglie non se ne preoccupano e preferiscono, anzi, agevolare l’esclusione dell’adolescente nel tentativo di nasconderlo al mondo.
Sì, l’hikikomori è un alienato, non per natura, ma per scelta, sebbene esistano delle cause scatenanti che portano il soggetto a voler fuggire dalla realtà; ad esempio, soggetti che per natura molto timidi o che sono costantemente oggetto di scherno da parte dei coetanei sviluppano una forma di repulsione e di rifiuto verso quella società che, di fatto, ride di lui.
Tuttavia, non bisogna relegare il fenomeno a semplice apatia o forma acuta di timidezza. È qualcosa di più, è come un morbo che pian piano si espande a macchia d’olio e che sta coinvolgendo sempre più paesi, compresa l’Italia, anche se in forme diverse.
Collegati tramite facebook
News sul benessere
- Canto, teatro e speaking, l'academy per le persone con SmaSi conclude la prima edizione della Sma talent school
- Patologie occhi per 6 milioni italiani, 'servono più fondi''Oftalmologia penalizzata'. Nel Lazio campagna prevenzione
- L'appello delle famiglie per le Cure palliative pediatriche, 'siamo abbandonati, basta diseguaglianze'Nasce rivista 'la miglior vita possibile' per promuovere nuovi hospice e lo sviluppo di reti assistenziali domiciliari
- Andare in bici riduce il rischio di demenze, difende i circuiti della memoriaStudio, è associato al mantenimento del volume delle aree cerebrali chiave
- Alta tecnologia per ambulanza trasporto neonati in emergenzaDa strutture senza Tin a ospedali attrezzati.Inaugurata a Chieti
Rimani InContatto!
Vuoi essere aggiornato sulle nostre iniziative? Iscriviti alla nostra newsletter.
Commenti recenti