Ogni anno dal 1999, il 25 novembre si celebra la Giornata contro la Violenza sulle Donne, istituita dall’ONU per sensibilizzare l’opinione pubblica al fenomeno della violenza di genere e del femminicidio nel mondo. I dati dell’Onu rivelano che ad oggi il 35% delle donne nel mondo ha subito una violenza fisica o sessuale, dal proprio partner o da un’altra persona, mentre i due terzi delle vittime degli omicidi in ambito familiare sono donne.
In Italia si stima che il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni, quasi una su tre, hanno subito violenza fisica o sessuale. E se negli ultimi 5 anni sono leggermente diminuite le violenze fisiche o sessuali, aumenta invece la percentuale dei figli che vi assistono. Basterebbe la cronaca di tutti i giorni a farci capire, al di la delle statistiche, che siamo di fronte ad un’emergenza sociale e culturale.
Eppure spesso si continua a trattarla come un fatto privato, temperamentale, occasionale: omicidio passionale, raptus di gelosia, e quant’altro non giustificano la diffusione di un fenomeno sociale, ne lasciano aperta alcuna possibilità di prevenirlo. Gli studi sociali ci dicono che la violenza di genere si diffonde più facilmente proprio nei paesi e nei contesti sociali dove le donne conquistano una maggiore autonomia, e i rapporti tra uomo e donna diventano sempre più complessi. Come interpretare questo cambiamento, come elaborare nuove modalità relazionali e comunicative e mettere in discussione la propria identità? La violenza segnala, in questo caso, l’incapacità di una società di produrre risposte alternative, spostandosi da un piano competitivo (io vinco, tu perdi) a uno collaborativo (io vinco, tu vinci).
Come si orientano le nuove generazioni in questo scenario contraddittorio e in continua trasformazione?
Il quadro che emerge da una ricerca di Skuola.net su circa 4.600 studenti di scuola secondaria e università, ci fa capire che ancora molto c’è da fare per porre le basi di una nuova cultura delle relazioni personali (fonte ANSA).
Come sono i ragazzi e ragazze quando si relazionano tra loro? 1 ragazzo su 10 sostiene di aver alzato le mani durante un litigio, e ben il 35% dei ragazzi ammette di aver preso a parolacce una persona dell’altro sesso in caso di scontro. Le ragazze reagiscono, a volte anche nella stessa maniera. Ma se ricevono uno schiaffo, in genere perdonano. Il 42% del campione femminile dichiara che darebbe al fidanzato una seconda possibilità.
Esistono poi forme di violenza più subdola, come insistere con una ragazza perché conceda più di quanto non voglia. Ben il 14% dei ragazzi sostiene infatti di aver cercato di strappare un rapporto intimo seppur già rifiutato chiaramente:
Di base c’è una buona dose di senso del possesso da entrambi i lati. Quanto sono gelosi i nostri ragazzi? Risponde “moltissimo” il 21% dei ragazzi e il 24% delle ragazze, mentre si definisce “un po’” possessivo rispettivamente il 59% e il 63%. Ma se andiamo a scavare più a fondo, è solo poco più del 45% degli intervistati, senza distinzioni di genere, a pensare che il partner sia libero di fare ciò che vuole. Per tutti gli altri (circa 1 su 2), in una relazione, è lecito porre limitazioni nelle abitudini o nelle amicizie dell’altro, o comunque esercitare un certo controllo. Una generale accettazione, quindi, della gelosia, tanto che si stenta a riconoscere comportamenti “borderline” che, fin troppo spesso, possono essere campanelli di allarme. Nel caso in cui l’eventuale fidanzato sia dedito a continue e immotivate scenate, solo il 16% delle ragazze deciderebbe di porre fine alla relazione. C’è chi pensa che la gelosia folle sia sinonimo di grande amore e ne sarebbe addirittura felice: è il 12%.
Da questi dati emerge quanto sia necessaria maggiore attenzione all’educazione emotiva e relazionale. Tuttavia a scuola non se ne parla abbastanza. Se prendiamo un tema caldo come la violenza sulle donne, è ben il 37% del totale degli studenti a sostenere di non aver mai toccato l’argomento. D’altro canto, c’è chi ogni tanto ne ha parlato in classe con gli insegnanti (54%), mentre solo una minoranza ha partecipato a corsi e lezioni sul tema (9%).
Se è vero che la violenza di genere affonda le sue radici in questioni sociali e culturali, possiamo affermare che la cultura non è qualcosa di monolitico e statico, che determina il comportamento delle persone in modo unidirezionale, ma a sua volta articolato nei contesti relazionali più prossimi in cui futuri uomini e donne vengono educati. A scuola e in famiglia cosa imparano, o non imparano, i ragazzi riguardo alle relazioni e alla comprensione del loro mondo emotivo?
La prevenzione di questo fenomeno passa anche attraverso lo sviluppo e il potenziamento dell’intelligenza emotiva di bambini e ragazzi, ovvero delle loro capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni.
Educare alle emozioni significa anche saper gestire in modo armonico e positivo le proprie relazioni e scoprirsi capaci di:
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regolare le proprie emozioni: puoi essere arrabbiato ma non agire in modo violento. La rabbia non è una giustificazione, tu sei responsabile di quello che fai quando “perdi le staffe”.
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imparare a relazionarsi in modo assertivo: puoi esprimere i tuoi bisogni senza prevaricare quelli degli altri o subire passivamente le decisioni altrui. Tu hai il diritto di chiedere, l’altro ha il diritto di dire di no.
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entrare in sintonia con l’altro: puoi mettermi nei “panni” dell’altro senza perdere la tua individualità. L’altro ha il suo modo di vedere le cose, ha dei sentimenti diversi dai tuoi, e per quanto ti possano sembrare assurdi, sono autentici e vanno rispettati.
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costruire relazioni positive riconoscendo i segnali d’allarme di una relazione violenza: la violenza non va confusa con la conflittualità. La violenza non è solo fisica: la gelosia, il controllo, la possessività, il senso di colpa, non sono dimostrazioni di amore. L’amore non è una cosa che tu devi meritare, è qualcosa che ognuno dona all’altro, per come l’altro lo fa sentire.
Investire tempo ed energie nell’educare i ragazzi, ma anche gli adulti, a relazionarsi in modo maturo e responsabile significa non solo contrastare alla radice il fenomeno della violenza contro le donne, ma anche determinare un profondo cambiamento nei modelli di riferimento nei rapporti uomo-donna, con importanti ripercussioni su tutta la società.
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